vademecum per non uccidere il teatro

Il teatro sta morendo, e la colpa è del pubblico che non ci viene.

A volte capita che vuole venirci ma poi non viene.

A volte capita persino che il pubblico venga una volta e poi non torni.

In quel caso la colpa è tua, del tuo spettacolo che l’ha annoiato, non l’ha coinvolto, gli ha fatto rimpiangere divano e tv. E questo mi fa particolarmente incazzare, perché ogni persona che entra per la prima volta in teatro ci è costata un lavoro, un sacrificio e un’attesa immensi. Troppo immensi per poter essere compromessi da uno spettacolo da schifo.

Io lavoro nel teatro, e gran parte degli errori che elenco qui sono anche i miei, sia chiaro.

Ma stavolta ho voluto mettermi nei panni del pubblico per dare a te, caro collega teatrante, alcuni comandamenti per aiutarti a non svuotare (ancora di più) i nostri teatri.

  1. Non basta saperlo

In una notte buia e tempestosa, un martedì di Champions league, dall’altra parte della città, in un garage riqualificato ma mica-poi-tanto, una giovane compagnia di professionisti want-to-be presenta una (ennesima) rivisitazione di Casa di Bambola, con scenografie prese dai cassonetti, ingresso euro 12. Non ci vai. Manco morto ci vai. Manco se ti fanno lo spot su Italia1.

Quindi anche tu: smettila di proporre cose a cui tu stesso non andresti mai. Smettila di proporle e poi quando non viene nessuno dici “dovevamo comunicarlo meglio” o “se solo avessimo avuto l’articolo con foto”. Tu, che ti invitano agli spettacoli dei colleghi ma non ci vai, sei la prova vivente che a volte non basta saperlo, per andarci. Anzi. A volte la gente non viene proprio perché sa.

  1. Se lo sa fare chiunque, non farlo

Sei in piedi, pressoché immobile, ad occhi chiusi. Con una mano, lentamente, ti accarezzi i capelli. Non sai perché lo fai, improvvisi. Forse il gesto ti ricorda tuo padre, quando ti addormentavi in braccio a lui tornando dal mare a Chiavari. Tutto molto profondo, molto psicanalitico. Peccato che davanti a te, anche se non le vedi (hai gli occhi chiusi) ci sono 70 persone che hanno pagato il biglietto pensando di vederti ballare, e che si tengono sveglie coi colpi di tosse. Quelle stesse persone che di qui a un’ora andranno su internet a riguardarsi le repliche di Italian’s got talent, perché quelli saranno fenomeni da baraccone ma almeno “qualcosa sanno fare”.

Un giorno, davanti a un Picasso, ti avevano detto: l’importante non è la tecnica, è l’idea. Ma ho una brutta notizia per te: anche quelle 70 persone hanno idee, un padre e un inconscio. Quindi se vuoi essere tu a stare sul palco per farti guardare da loro o la tua idea è qualcosa che spacca, qualcosa tipo il cubismo, o un po’ di tecnica ce la devi mettere.

Ti avevano detto: tutti potevano farlo, ma tu l’hai fatto. Ecco: hai fatto male. Quello dell’attore (o del danzatore) è un mestiere, non un surplus di esibizionismo. Dovresti dare voce all’arte, e l’arte non fa sbadigliare/tossire, l’arte tocca le persone. Tu invece ti stai toccando da solo/a.

  1. Se fai schifo a zia Carmela, fai schifo

Zia Carmela è dura d’orecchi, dura di comprendonio, non ride facilmente, non va mai a teatro. E tu devi piacere a lei: se non ci riesci, è perché fai schifo. Oppure forse sei un genio, sei 50 anni avanti. Peccato che il pubblico a cui vendi il biglietto è quello di oggi. Quello ignorante zoticone televisionaro ineducato di oggi. Non sto dicendo che devi dargli esattamente quello che vuole, anzi: portalo con te nella poesia, nel futuro. Ma tenendolo per mano, senza che si perda. E ti avverto: zia Carmela è parecchio lenta. (In ogni caso non prendiamoci in giro: non sei un genio. Altrimenti non staresti leggendo il mio vademecum).

  1. Se assomiglia a un film, era meglio un film

Il cinema ha cose che tu non hai. I piani stretti e i cambi di inquadratura, il montaggio, le location, gli effetti speciali, le comparse, ecc… Tu però hai qualcosa che il cinema non ha: la vita. Sei lì, ora, con il pubblico di fronte che reagisce, che si lascia provocare, che sente il tuo brivido. Ride e piange molto più facilmente che al cinema: l’hai notato? E tu non sarai mai più lo stesso di stasera, il pubblico non sarà mai più lo stesso. Questo fa del teatro la forma di comunicazione più interattiva, personalizzabile e “2.0”, la più contemporanea che ci sia. Hai un potere immenso: è tuo dovere usarlo. Perché se invece il tuo spettacolo poteva anche essere un film, a questo punto era meglio il film.

  1. I critici non esistono

I critici teatrali, che io sappia, non esistono. Il che ha un chiaro vantaggio: se non sei piaciuto a nessuno, puoi sempre dire che la critica ti ha accolto bene. Non esistendo, non ti contraddirà.

  1. Nudo no, ma…

E’ vero, il nudo gratuito in teatro ha stancato. Ma ci sono cose che mi hanno stancato molto di più. Quindi se nel tuo spettacolo non c’è proprio niente, nel dubbio una mutanda toglila. Almeno c’è qualcosa a cui ripensare.

  1. La figa è la figa.

La sospensione dell’incredulità è una cosa meravigliosa. Il pubblico è disposto ad accettare che attori mortali interpretino dèi, che donne interpretino uomini, che un uomo ne interpreti due, che adulti facciano i bambini, che uno con della fuliggine in faccia sia il moro di Venezia. Il mio amico Matvey ha fatto fare la cagnetta Laika a una 25enne di Rozzano, e funzionava. Cionondimeno, la figa è la figa. Punto. Il pubblico è disposto a tutto ma non a tollerare che il personaggio della bella impossibile lo faccia un cofano. Quindi ok, la primattrice cinquantenne un po’ sformata della tua compagnia è bravissima, ancora piacente, nel 1972 ha lavorato con Strehler che la chiamava “bocconcino”, ma in ogni caso NON PUO FARE GIULIETTA. Può fare la nutrice, o la mamma di Giulietta, o al limite Frate Lorenzo, ma NON Giulietta, porca puttana. Aveva 14 anni ed era vergine e gnocca, altrimenti non ci si spiega perché Romeo si è ammazzato. E a proposito di Romeo: 16 anni, bel sorriso, culo sodo.

  1. Naturalismo si grazie

Quella sedia rappresenta un amico, le tue dita a L una pistola, una quarzina è la luna e uno scatolone la cucina, con una sciarpa puoi fare un letto, un bambino in fasce, un vestito da sposa, uno zaino, un sudario, un giornale e una palla da calcio, lo sgabello rappresenta un tavolo e il tavolo un rimorso. Questo perché non sei un naturalista, guai! Il tuo teatro procede per simboli. Peccato che alla fine ha più codici di un dispaccio di Radio Londra e nessuno capisce una sega. Il tuo contenuto, il tuo messaggio: quello è l’importante. Fai in modo di trasmetterlo forte e chiaro. E se poi perché si capisca “tavolo” ti toccherà usare un tavolo, piuttosto noleggi un furgoncino. Il tuo pubblico te ne sarà grato.

  1. Se non è sul giornale non serve

La sai la notizia? C’è una nuova classe sociale di ricchi, la borghesia, che conta più della nobiltà: tra un po’ gli aristocratici decaduti cominceranno a sposare le popolane. E sai dove l’ho letta? Sul giornale di Venezia del 1 aprile 1756. Per questa ragione Goldoni alla sua epoca era fondamentale e oggi STICAZZI. Lascia Goldoni al Settecento, oppure rimettilo in scena (come ha fatto da poco Beppe Navello) solo se dopo secoli dice ancora qualcosa sull’oggi. Viviamo in un mondo pieno di questioni irrisolte e nodi da sciogliere, anche tu che fai teatro devi dare il tuo contributo (sia anche solo un diversivo). Fai un bell’esercizio: prendi il giornale di oggi, e vedi se il tuo spettacolo si collega a qualcosa. Se racconta qualcosa, se serve a qualcosa. Gli argomenti sono tanti e tali e talmente universali che è quasi impossibile che il tuo spettacolo non abbia alcuna attinenza con la realtà, con la sensibilità odierna. Ma nel caso non ce l’abbia, lascialo perdere SUBITO. Soprattutto se l’ha scritto un qualche autore russo dell’Ottocento (ma non faccio nomi)

  1. Pensa a Mc’ Donald’s

8 euro non sono né tanti né pochi. Sono tanti per un pezzo di pizza, pochi per un pasto completo. Quando scegli i prezzi per il tuo spettacolo, tienilo presente: se chiedi molto, devi dare molto, e nel dubbio, chiedi meno. E’ giusto che ti fai pagare, ma fatti pagare il giusto. E ricordati sempre che per 8 euro Mc Donald’s ti dà un menu maxi con tanto di salse.

Continua….

illustrazioni di Giulia Antoniotti
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