Tra i molti commenti e svolgimenti non richiesti della prima prova della Maturità 2022, l’intervista al prof. Roberto Pani pubblicata da La Stampa ha se non altro il pregio di suggerirmi bestemmie finora inedite.
Il professore (psicoanalista) critica la proposta delle tracce, in particolare quelle su Pascoli e Verga, perché lontane dai giovani e dai loro interessi. La colpa sarebbe dell’immobilismo intellettuale degli insegnanti di lettere che induce i professori a insegnare sempre le stesse cose e a immaginare che i ragazzi debbano studiare ciò che loro appresero sui banchi decenni fa.
Confondendo il contenuto con la sua interpretazione, come avviene nell’intervista, diventa impossibile accostarsi a qualunque tipo di manifestazione artistica, di qualunque epoca. Mi sono fatto l’idea, sicuramente parziale, che ciò che definisce un’opera d’arte sia la capacità di reagire a tempi e luoghi diversi da quelli in cui è stata creata. E questo non perché le emozioni e le domande delle persone restino le stesse con il passare dei secoli o dall’altra parte del mondo, ma perché un vero artista sa attingere a quella radice dell’umano dalla quale nascono i pensieri, si formulano gli interrogativi, sboccia la sensibilità e il gusto. Un “linguaggio comune” tra persone di diversi luoghi e tempi.
È improbabile che Bach abbia rimesso mano alle sue opere dopo la metà del ‘700, eppure ha continuato a ispirare esecutori e direttori, a valorizzare scene di film e video su Youtube, a essere rielaborato nel jazz e nelle strumentali hip hop.
Viviamo nel tempo delle variazioni sul tema, dalla musica alla moda ai social, dove ogni contenuto viene digerito e continuamente riproposto in forme nuove e innovative. Perché non dovremmo proporre della “materia prima” di qualità? Se si vogliono allontanare definitivamente le nuove generazioni dall’arte, la cosa giusta da fare è negargli la possibilità e il divertimento di farne ciò che vogliono.
Affrontare il presente attraverso il bagaglio dei grandi che ci hanno preceduto, e farlo in maniera attuale e personale, è una cosa che si impara e che si insegna, una “realtà aumentata” dall’esperienza intellettuale e dalla vita interiore di ciascuno.
Anni fa, nel periodo in cui ero alle prese con le infedeltà della fidanzatina di allora, leggevo Madame Bovary, detestavo quella stronza e pensavo: Flaubert sta parlando con/di me. Lo rileggessi ora, immagino che mi parlerebbe ancora, ma di tutt’altro.
Petrarca, salito sulla cima del Monte Ventoso, legge qualche riga del libro che ha portato nella sua sacca: Le confessioni di Sant’Agostino. E si accorge che quelle pagine, da cui lo separano su per giù mille anni, contenevano già la risposta che lui aveva cercato fin lassù.
…chiusi il libro, arrabbiato con me stesso perché ancora ammiravo le bellezze terrestri, mentre avrei già dovuto imparare dai filosofi che solo l’anima è degna di ammirazione, e non c’è nulla di più grande.
L’ho già raccontato altrove, ma non resisto alla tentazione di ripetermi. Uno dei più celebri professori di lettere della storia d’Italia, Augusto Monti, nella visione espressa da Pani sarebbe un campione di immobilismo intellettuale. Nel pieno di una dittatura, ai suoi studenti che avevano vissuto un’infanzia di guerra e vivevano l’ebollizione di un’Europa pronta ad esplodere, Monti non parlava d’altro che di classici. Insegnando però a rintracciarvi quello spirito critico, quel senso di libertà e di comunità che hanno reso i suoi allievi alcuni tra i più grandi intellettuali e antifascisti del Novecento (Leone Ginzburg, Massimo Mila, Cesare Pavese, tanto per citarne alcuni).
Un bravo docente – per fortuna ne ho incontrati diversi – non insegna agli studenti le proprie interpretazioni. Gli insegna a interpretare.
Basta dare un’occhiata alle tracce su Pascoli e Verga per rendersi conto di come i loro testi facciano scintille al contatto con la contemporaneità. In Nedda c’è un incidente sul lavoro, e una ragazza scoraggiata dalla miseria della paga che le viene offerta (sembra la stessa storia del “caso” mediatico di questi giorni, scoppiato su Tik Tok).
La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive […] fruttavano appena la metà di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi! […] Adesso, quando cercava del lavoro, le ridevano in faccia […]. Dopo i primi rifiuti, e le prime risate, ella non osò cercare più oltre, e si chiuse nella sua casipola, al pari di un uccelletto ferito che va a rannicchiarsi nel suo nido.
Insomma: anche lei è una dei ragazzi – sono sempre di più a quanto pare – che oggi chiameremmo “Hikikomori”.
Nel brano troviamo poi una lunga descrizione che mette a contrasto la persona che Nedda potrebbe essere con quella che è costretta ad essere. Esiste qualcosa di più vicino alla sensibilità di un giovane?
Anche in Pascoli c’è il contrasto tra due piani di realtà, quella naturale e quella tecnologica. Ciò apre la strada a una marea di svolgimenti possibili: dalla sostenibilità ambientale all’identità divisa tra vita fisica e vita social, dal contrasto tra generazioni allo sviluppo del metaverso e del turismo spaziale in un momento storico in cui un numero crescente di persone deve mettersi in coda al pozzo per avere un po’ d’acqua. Certo, ci vuole uno sforzo di libertà e un po’ di pensiero laterale, per specchiarsi nelle parole di un autore morto cento anni fa. Per tradurre il vecchio telegrafo con la rete di oggi, invece, basta un minimo di agilità mentale.
Altro pregio dell’articolo uscito su La Stampa è che ci regala un esempio di quell’atteggiamento “presentista” che più di ogni alto è di ostacolo al progresso, in tutti i campi. Nella scuola limitarsi a trasmettere ai giovani ciò che già li interessa, in politica o in filosofia accodarsi all’opinione della maggioranza, al cinema e a teatro dare al pubblico ciò che si aspetta, nella spiritualità credere solo a ciò che già si conosce, nella scienza circoscrivere la ricerca alla conferma delle proprie ipotesi, ascoltare solo ciò che non ha bisogno di essere interpretato, e così via.
Svolgere quelle tracce, anche di malavoglia (perché, qualcuno fa la maturità volentieri?) credo renda inevitabile un bell’esercizio di scavo interiore, di quelli che dovrebbero piacere agli psicoanalisti. Una pratica di comprensione dell’ “altro” da un punto di vista linguistico, formale ed emotivo, un’attitudine all’approfondimento e alla lettura analitica, un’attenzione particolare alle parole altrui e alle proprie, e Dio sa quanto ce n’è bisogno oggi.
E poi insofferenza, perché no, ma se non altro espressa, anziché covata.
Irriverenza e ribellione, volendo, che anche di quelle non abbiamo mai abbastanza. D’altronde non credo che quel vecchio segaiuolo del Pascoli, vegliando sui maturandi dal paradiso dei poeti, si illuda di poter conquistare molti follower tra i ragazzi di oggi. Si accontenti di sapere che (per fortuna) sono ancora obbligati a leggerlo.
Per le interviste future, consiglierei al prof. Pani di farsi aiutare da qualcuno di quegli antiquati docenti di lettere. Argomentare le proprie tesi (su che base afferma che gli insegnanti di lettere hanno paura di evolversi, o che i giovani sentono la letteratura come lontana?), proporre idee e soluzioni (cos’è che i ragazzi sentono affine? che tipo di esame sarebbe meglio dell’attuale?), leggere bene le fonti (a parte Pascoli e Verga, che dire di tracce come quella sugli effetti della musica, quella su COVID e cambiamento climatico dal discorso di Parisi, su “Tienilo acceso” di Gheno e Mastroianni?), sono passaggi essenziali per ambire alla sufficienza.
È però pure possibile, va detto, che il professore sia stato preso alla sprovvista dall’intervistatore e abbia buttato lì per lì qualche stronzata, pur di non fare scena muta. Capita anche ai migliori.
Anche perché, proprio sul suo sito, si può leggere un interessante articolo che affronta l’attualità della guerra attraverso la celebre corrispondenza tra Einstein e Sigmund Freud.
Il quale, per la cronaca, è nato a quattro mesi di distanza da Giovanni Pascoli.
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Giugno 25, 2022
Eccellente analisi che ho letto con grande piacere. Mi sa che devo ringraziare il prof Pani per averla suscitata!
Giugno 26, 2022
Analisi lucida, tesi ineccepibile condotta in modo brillante. Lo studio dei “classici “serve appunto anche a produrre questo che in fondo è un metafondo, in cui non solo si sostiene, ma contestualmente si dimostra come una formazione sui classici contribuisca ad aprire la mente, a non temere nessun approccio col domani, con l’oggi, con l’ieri e l’altroieri. La solita vena piacevolmente geniale di Corrado.