I nemici della nostra privacy siamo noi

Negli ultimi giorni molti dei miei contatti Facebook si lanciano in post del tipo “non userò la app di tracciamento, voglio tutelare la mia privacy”. Proprio così: lo scrivono su Facebook.
Un po’ come tatuarsi la scritta “odio i tatuaggi”. Come andare in Chiesa per dire a Dio che non esiste. Come chiudere a chiave la porta ma non avere le pareti. Come “ti lascio perché ti amo troppo”. Come protestare contro il MES dopo averlo inventato. Come…[completa lo spazio con la similitudine che preferisci].

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Grazie a questi post Facebook potrà schedare le persone che non vogliono essere schedate, e proporgli – che so – la pubblicità di un browser sicuro, i gruppi di nostalgici della Lira o i videodeliri di Mario Giordano a “Fuori dal Coro”.

So che sembra incredibile, ma ciò che pubblichiamo sui social è pubblico. Anche se ogni tanto metto uno di quei post in cui scrivo che non voglio che ciò che pubblico sia pubblico.
Perciò in linea teorica Paola Vattelapesca potrebbe aprire il giornale e trovarvi scritto che Paola Vattelapesca, nata a Trento il 12 aprile 1982, impiegata contabile nella ditta X, con una passione per i libri fantasy e fan di Achille Lauro, parente di Tizio, ex fidanzata di Caio, non scaricherà la app perché vuole tutelare la sua privacy. In linea teorica, dico. Perché per sua fortuna, e dei più riservati di noi, di cosa farà Paola non frega una sega a nessuno.

O meglio: di lei hanno valore tutti i dati che aiutano a capire cosa le piace, e di conseguenza cosa venderle e come farlo. E quei dati, inutile ricordarlo, lei li fornisce spontaneamente ogni volta che accetta delle condizioni (magari senza leggerle), ogni volta che mette un like o un segui, che dice “Alexa!“, che cerca su Google, che attiva il GPS, che guarda un negozio online, che recensisce un locale, che usa il car sharing. Per fare di lei un “target” serve conoscere la sua età, il suo sesso, i suoi spostamenti, la sua capacità finanziaria, le sue attività, i suoi interessi, i suoi desideri e anche (soprattutto a Salvini) le sue paure. Quasi tutto ciò che lei, quotidianamente, rivela di sé con ogni azione digitale.
Quasi tutto. Perché Paola mostra molto di più di quello che le è richiesto.

Un mucchio di roba senza valore. Ad esempio i suoi sorrisi, il suo difficile risveglio del lunedì, i suoi sentimenti profondi, la sua nostalgia dell’infanzia, la sua creatività, le sue foto in mutandine, i post con le struggenti lettere alla nonna defunta (che leggono tutti eccetto ovviamente la nonna), le sue carenze grammaticali, le sue cotte, la sua ironia.
Molte delle cose che riteniamo più intime, insomma, quelle a cui davvero pensiamo quando parliamo di privacy, le riveliamo senza che nessuno ce le chieda, perché sono molto meno interessanti per i fini “commerciali” della schedatura. E onestamente, va detto, sono poco interessanti per chiunque non appartenga alla cerchia degli amici. Fatta eccezione, forse, per la foto in mutandine.

Viviamo in un mondo in cui la nostra dimensione privata è completamente sputtanata, anche e soprattutto per volontà nostra. Eppure tra una storia su Instagram, un Ti amo in bacheca e un like su Youtube ci inalberiamo in difesa di una “Privacy” svuotata di ogni senso.
Ho l’impressione che questo genere di Privacy sia l’ennesima arma che il Male utilizza per tenere compatte le schiere dei suoi più fedeli e numerosi soldati: i deficienti.

Un esempio ricorrente? Le intercettazioni telefoniche. Per poterle utilizzare le forze dell’ordine hanno bisogno di un’autorizzazione del Giudice che ne accerta la necessità per le indagini in presenza di indizi di reati gravi quali omicidi, corruzione, pedofilia, stalking, traffico di armi ed esplosivi, ecc… Quando periodicamente un vip, un politico o un suo parente vengono beccati a combinare qualche reato, parte l’appello alla privacy. E intere legioni di deficienti si immaginano che la polizia li ascolti mentre dicono le porcheriole al telefono con la collega carina, si schierano contro le intercettazioni.

Immaginiamo uno scenario fantascientifico: cioè di avere un chip nella collottola, simile a quello dei cani, con codice identificativo e GPS. Semplice e terrificante. Però ad esempio potrebbe aiutare a ritrovare il nonno con l’alzheimer che si è allontanato da casa. O ad acchiappare i latitanti, a capire con chi era la vittima al momento del delitto, a identificare il tizio che entra in banca mascherato, a sapere che medicine dare alla persona trovata priva di sensi… Sarebbe la fine di molti crimini, forse anche renderebbe quasi superflue le carceri, e salverebbe molte vite. Senza svelare della nostra intimità meno di un decimo di quello che sveliamo noi stessi sul nostro profilo Instagram. Certo, ammesso che le informazioni raccolte siano gestite nel modo corretto e a fin di bene: ed è su questo che varrebbe la pensa di battersi e di vigilare.

Il problema, insomma, non sono mai i dati e gli archivi che li conservano, ma l’uso che se ne fa e lo scopo con cui li si usa. Allo stesso modo non bruceremmo i libri di storia per impedire a qualche aspirante Hitler di studiare come si fa un olocausto.

Nel caso della nuova app per contact tracing, che peraltro registra solo con Bluetooth le persone a cui siamo stati vicini senza nemmeno tracciare il luogo, i dati saranno memorizzati sul cellulare, anonimizzati, cancellati alla fine del “periodo rilevante” del contagio, e trasmessi su base volontaria in forma crittografata all’autorità sanitaria pubblica solo in caso di avvenuto contatto.
Per citare una app che già usi: sarà tipo Tinder, quella che ti dice quali single sono nei paraggi. Solo che a differenza di Tinder non dirà a nessuno se sei single, qual è il tuo orientamento sessuale, cosa cerchi e da chi, dove sei e che aspetto hai. E i dati raccolti serviranno a salvarti la vita, non a produrre profitti per una società privata del Texas.

Quindi, amici, per una volta possiamo scaricare la app e usarla a cuor leggero.
Per una volta i nostri dati saranno in buone mani.
O almeno, in mani migliori delle nostre.

Per approfondire:

 

Se non sei d’accordo e pensi che la privacy sia un valore sacro, puoi lasciare il tuo commento qui sotto dopo aver indicato il tuo nome e cognome, la tua mail, i tuoi indirizzi social e la tua età 🙂
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